DONNA HARAWAY
Donna Haraway, scienziata, filosofa, matrice di tutti i pensieri cyberfemministi. I suoi testi sono Bibbia per chi, come me, crede in una società “post_umana”, libera da gerarchie, da rigide categorie o da confini definiti. Il suo testo più famoso rimane The Cyborg Manifesto, pubblicato nel 1985. Tanto complessa a livello concettuale, quanto profondamente legata al vivere nonostante il rifiuto all’antropocentrismo. Haraway critica con forza la convinzione che l’essere umano sia l’unico abitante legittimo della Terra o che, anche all’interno del proprio habitat, debba creare gerarchie di potere. L’uomo, autoproclamatosi dominante, relega gli altri esseri viventi e le entità non umane a una posizione subordinata. Questa mentalità gerarchica ha storicamente giustificato il dominio umano, ma Haraway sfida queste strutture, opponendosi a dicotomie come uomo/animale, umano/macchina, naturale/artificiale. La sua domanda fondamentale è: chi decide chi detiene il potere, in un mondo che tutti condividiamo?
In Manifesto Cyborg (1985), critica proprio queste dicotomie e cerca di superarle attraverso la figura del cyborg. Questa creatura ibrida, unione di macchina e organismo, esiste sia nella realtà che nella finzione e rappresenta un modo radicalmente diverso di concepire la soggettività corporea. Il cyborg sfida le categorie tradizionali e apre la strada a un ordine post-patriarcale, dove le divisioni binarie e i confini rigidi vengono superati.
“I’d Rather Be A Cyborg Than A Goddess”
La frase emblematica del manifesto, "I’d Rather Be A Cyborg Than A Goddess", sintetizza questa rottura con il passato. Non è solo la morte di “dio” a segnare una svolta culturale, ma anche quella della “dea”, intesa come simbolo di un femminismo essenzialista che riduce l’identità a schemi binari. Siamo modellati da strutture binarie: uomo/donna, naturale/artificiale, corpo/mente. Queste divisioni devono essere superate. Ma come? La tecnologia ci ha già offerto gli strumenti per oltrepassare i confini imposti dalla razionalità e trasformare il corpo stesso. Nasce così una nuova creatura ibrida, al tempo stesso macchina e organismo, che appartiene sia alla realtà che alla finzione: il cyborg.
Il termine "cyborg" deriva dall’unione di cybernetics (cibernetica) e organism (organismo). La cibernetica, introdotta nel 1947 dallo scienziato americano Norbert Wiener, studiava le macchine capaci di autoregolarsi e il loro rapporto con l’uomo. Tuttavia, questo campo di ricerca non metteva mai in discussione la superiorità dell’essere umano. Il cyberspazio, inteso come luogo d’interazione tra umano e macchina, era il fulcro di questa relazione. Haraway, invece, usa il cyborg per superare le gerarchie e immaginare una connessione più fluida e priva di centralità umana.
Il cyborg diventa così un simbolo rivoluzionario, capace di ispirare una società che abbraccia l’ibridazione, l’inclusività e il superamento delle strutture binarie che hanno da sempre definito la nostra esistenza.
“WE’RE ALL CYBORGS”
Il suo manifesto è molto più di un semplice manifesto: è sperimentale, innovativo, scientifico e politico. È, in un certo senso, l'opposto di ciò che un manifesto tradizionale dovrebbe essere. Un manifesto di solito impone regole, descrive lo stato attuale della società e suggerisce le mosse da adottare per immaginare nuove forme di vivere. Al contrario, il Manifesto Cyborg interroga, provoca e ci incita a pensare e a immaginare un altro mondo.
Fin dalle prime pagine, Haraway chiarisce il suo intento di creare un mito politico contemporaneo, un mito volutamente blasfemo. La blasfemia, nella sua visione, è l’espressione di pensieri empirici, quei pensieri che osano mettere in discussione l’ordine stabilito. Gli stessi pensieri empirici che condannarono Socrate, il quale considerava la filosofia come una forma di profanazione. Anche Haraway, attraverso il suo manifesto, suggerisce che il pensiero critico, proprio perché sovverte dogmi e certezze, può essere percepito come sacrilego.





