FIRST CYBERFEMINIST INTERNATIONAL
Il 1997, anno in cui esce Zeros + Ones di Sadie Plant, coincide con un evento fondamentale per il cyberfemminismo: un gruppo di 40 cyberfemministe si riunisce per otto giorni a Kassel, all’interno del contesto The Hybrid Workspace, parte di Documenta 10, per il First Cyberfeminist International. Durante questo incontro, si dedicano alla definizione di ciò che il cyberfemminismo non è, formulando 100 antitesi. Partecipano a conferenze e dibattiti, discutendo di networking, webgrrrls, geek girls, collettivi come FACES e Old Boys Network (OBN), oltre a pubblicazioni online, prospettive di carriera e mailing list.
L’evento mette in luce un aspetto centrale del cyberfemminismo: la necessità di restare informate. L’informazione, considerata un’arma politica, è essenziale per contrastare i “Big Daddies”, uomini che detengono potere e ricchezza.
Un’importante figura presente a Kassel è Cornelia Sollfrank, protagonista della prima alleanza cyberfemminista e pioniera della net.art. Con la sua opera Female Extension, Sollfrank affronta il tema dell’autorialità e del predominio maschile nell’arte digitale. In occasione della prima competizione internazionale dedicata alla net.art, organizzata nel 1997 dal Museo d’Arte Contemporanea di Amburgo, Sollfrank iscrive 200 artiste fittizie, ciascuna con opere generate tramite il Net.art Generator. Questo software combinava contenuti da pagine web, creando opere uniche. Sebbene le partecipanti al concorso risultassero essere per due terzi donne, nessuna di loro vinse. Questo progetto critica l’incapacità della giuria di riconoscere il valore del gesto artistico e denuncia i limiti di un sistema culturale ancora dominato dagli uomini.
le giornate di incontri al The Hybrid Workspace per la First Cyberfeminist International a Kassel furono organizzate dal collettivo Old Boys Network, che, precedentemente online, si era confrontato con i partecipanti per decidere le tematiche da trattare durante le conferenze, così che quelle giornate fossero già in parte pianificate. Un gruppo di circa 40 donne, autoselezionate tramite invito, partecipò all’evento. Si auto-organizzarono in maniera anarchica, ritrovandosi per cena e per discussioni su argomenti come, ad esempio, cosa NON fosse il cyberfemminismo, gli obiettivi e i piani futuri. Non c’era una lista rigida su chi dovesse fare cosa; ognuna si organizzava liberamente secondo le proprie competenze. Si organizzavano faccia a faccia o tramite una mailing list (pratica tipica della net art), creando dinamiche tra il virtuale e il reale.
Le lezioni, i progetti web e i workshop esploravano una vasta gamma di tematiche cruciali per il cyberfemminismo, come la rappresentazione della differenza sessuale nello spazio digitale, le modalità con cui le donne si auto-rappresentano online attraverso avatar e databodies, e come il cybersex e i siti per adulti trattano le questioni di genere. Si discuteva anche di come affrontare gli stereotipi e il sessismo attraverso pratiche di genderfusion, del femminismo inteso come “browser” e dei pericoli legati alle nuove tecnologie, compresa la paranoia digitale. Inoltre, si esploravano strategie per preservare e diffondere la memoria storica delle donne, la disparità di genere nelle aree della programmazione e dell’hacking, e come l’arte elettronica potesse diventare uno strumento di resistenza femminista. Infine, si affrontavano temi legati alla salute delle donne che interagiscono con la tecnologia e si rifletteva su come creare reti di supporto e progetti di networking femminista.





