IL CORPO SESSUALIZZATO

DAL PORNO ALLE AI, TRA CONTRADDIZIONI E MERCIFICAZIONE DIGITALE

DAL PORNO ALLE AI, TRA CONTRADDIZIONI E MERCIFICAZIONE DIGITALE

“The answer to bad porn is not no porn, but try to make better porn” Annie Sparkle

Se per secoli la figura di Maria di Nazareth ha incarnato un ideale di purezza e sacralità, oggi ci troviamo di fronte a una realtà ben diversa. Una realtà che, come quella costruita intorno a Maria, non è stata spesso modellata dalle donne, ma plasmata dagli uomini, che hanno definito e imposto il modo in cui il corpo femminile deve essere percepito.

Il nostro corpo, da simbolo idealizzato, è stato trasformato in un oggetto di consumo visivo e ipersessualizzato. Questa dinamica è evidente in molti ambiti: dall’arte, che per secoli ha rappresentato la donna come musa o soggetto passivo, ai giornali, alla pubblicità televisiva, dai siti pornografici alle rappresentazioni generate dalle intelligenze artificiali, fino ai social media, che continuano a esporre e mercificare il corpo femminile sotto nuove forme. Dall’avvento di Internet, dei nerd e degli hacker, il corpo e l’identità online non avevano un peso definito. La rete era uno spazio di liberazione: si poteva essere chiunque, ovunque, in qualsiasi momento. Il corpo, in un certo senso, trascendeva i limiti della materia, dello spazio e del tempo.

Tuttavia, con la diffusione di Internet e la migrazione sempre più massiccia delle vite quotidiane sul web, si è scoperto che invece era rilevante chi fossi, quale fosse la tua identità e come venivi percepito. L’ambiente digitale ha iniziato a riflettere e amplificare le disuguaglianze e i pregiudizi già presenti offline.

Coloro che hanno avuto accesso privilegiato alla costruzione di Internet, spesso appartenenti a gruppi dominanti, hanno plasmato l’ecosistema digitale in modo da rispecchiare i loro interessi e la loro visione del mondo. Questo ha portato alla diffusione di un immaginario prevalentemente centrato su corpi idealizzati e sessualizzati, spesso femminili, creati per soddisfare desideri stereotipati.

Inizialmente percepito come uno spazio inclusivo e neutrale, Internet si è trasformato gradualmente in un ambiente in cui chi non rientrava in determinati standard – sociali, culturali o identitari – veniva marginalizzata. Il concetto “Niente ragazze su Internet”, spesso utilizzato, non rappresentava solo una battuta cinica, ma un’espressione di esclusione e controllo: se qualcuno doveva esistere nel cyberspazio, spesso lo faceva come oggetto piuttosto che come soggetto attivo. Le possibilità illimitate della rete hanno iniziato a restringersi, indirizzandosi verso una narrazione che favoriva una prospettiva dominante, escludendo voci alternative e identità non conformi. Questo ha creato una frattura tra le promesse iniziali di libertà e l’oppressione strutturale che si è manifestata con la crescita della rete stessa.

Man mano che Internet si trasformava, diventando uno spazio popolato e commercializzato, le vecchie dinamiche di controllo e esclusione si riaffacciavano in nuove forme. Sebbene la tecnologia possa apparire moderna, il linguaggio della vergogna e del peccato associato all’uso di Internet da parte di certe persone – in particolare chi non rientra nei gruppi dominanti – è molto antico.

La risposta a questi “panici morali” segue un copione familiare: statene alla larga. Aspettate che qualcun altro entri per primo, che lo spazio venga reso “sicuro” – o perlomeno controllato. Se ciò non accade, l’invito è sempre lo stesso: restate in disparte. Ma Internet non è qualcosa che si può imparare a distanza; è un luogo dove si cresce attraverso tentativi, errori e rischi.

Dire che il cyberspazio è pericoloso per alcuni non è solo un avvertimento, ma una forma di esclusione. È un modo per limitare l’accesso alle competenze e alle opportunità offerte dal digitale, lasciando i più vulnerabili ai margini. Allo stesso tempo, la sorveglianza diventa una condizione universale, connessa però a una storia di controllo che è sempre stata più pesante per alcuni. Chi cresce con l’aspettativa di essere costantemente osservato sa bene come la consapevolezza dello sguardo altrui modifichi comportamenti, pensieri e ambizioni. Che sia una telecamera, un sistema di spyware o il giudizio sociale, l’effetto è sempre lo stesso: frenare, conformarsi, limitarsi.

Internet, teoricamente uno spazio libero e pubblico, si rivela allora più simile a un centro commerciale o a un bar: uno spazio privato mascherato da pubblico, dove qualcun altro detiene il potere di decidere chi resta e chi viene escluso. La consapevolezza della sorveglianza non solo cambia il modo in cui ci comportiamo, ma modifica il modo in cui viviamo, pensiamo e ci relazioniamo con gli altri, con noi stessi e i nostri corpi.

Il cyberspazio è spesso un teatro di visibilità forzata, dove i corpi, soprattutto quelli delle donne, tendono ad essere esposti, commercializzati e giudicati, sia attraverso immagini sui social che attraverso contenuti pornografici.

Tuttavia, non sono né le immagini sui social né la pornografia a essere il male. Il sesso non è il problema; il problema è la misoginia. La misoginia e l’incapacità di gestire il sesso e i contenuti pornografici vedemdoli sempre come  qualcosa di violento, colpevole e sprezzante nei confronti delle donne sono il vero problema.

Limitare la pornografia, come molti governi hanno tentato di fare, non significa proteggere le donne, ma esercitare un controllo, ingannando l’opinione pubblica con la promessa di “protezione”. La sessualità esiste ed esiste anche online, ed è più del porno. La crescente fruizione da parte degli uomini è il problema, ma affermare che la pornografia sia equivalente a molestia sessuale introduce due argomentazioni errate: la prima sostiene una reale differenza tra uomini e donne, e la seconda implica che le donne non abbiano il potere di scelta, riducendo la loro sessualità a una forma di abuso, negando così la loro libertà di espressione. Questo porta a paragonare la donna a un bambino incapace di difendersi, da tutelare a discapito della sua autonomia.  Proteggere la donna in questo senso non è femminismo. La pornografia mainstream è il problema, poiché produce contenuti esclusivamente per uomini, ponendo la donna come subordinata e non come protagonista attiva, non tutelandola neppure come attrice.

Il regista Lars Von Trier possiede dal 1987 la casa di produzione danese Zentropa, associata alla Puzzy Power, la prima casa di produzione cinematografica a realizzare film pornografici per donne, con l’obiettivo di seguire la stessa metodologia usata per i film “normali”, prestando attenzione alla qualità dell’immagine, del suono e della recitazione.

La casa di produzione ha realizzato il manifesto di Puzzy Power, intitolato “Thoughts on Women and Pornography”, scritto nel 1998 per Zentropa. Questo manifesto sostiene che è falso affermare che alle donne non piaccia il porno. Al contrario, ciò che le donne non approvano è la degradazione a cui sono sottoposte nei film porno tradizionali.

Oggi, queste riflessioni si intrecciano con nuove dinamiche, amplificate dall'uso dell'intelligenza artificiale (AI) nella produzione di contenuti pornografici. Le reti neurali sono modelli computazionali composti da nodi che tentano di simulare il neurone umano. Tramite un set di dati, una rete neurale è in grado di tentare di risolvere degli applicativi tramite l’osservazione degli stessi.

Attualmente esistono centinaia di AI capaci di generare immagini estremamente realistiche attraverso tecnologie come il text-to-image o l' image-to-image . Mentre le piattaforme come Midjourney o DALL-E hanno implementato filtri per non incoraggiare la creazione di contenuti espliciti, esistono altre AI, come pornopen.ai o candy.ai, il cui unico scopo è proprio quello di generare corpi nudi.

Va notato, però, che persino le AI che cercano di evitare la sessualizzazione tendono spesso a cadere nello stesso schema. Ad esempio, se si chiede loro di generare un'immagine esplicita, il sistema la blocca riconoscendo come contenuto inappropriato. Tuttavia, in un esperimento personale, ho richiesto un'immagine descrivendo una scena apparentemente neutra: “Mostra una scena dinamica in cui alcune donne sono impegnate a discutere attorno a un tavolo olografico, altre interagiscono con un software generativo simile al Net.art Generator, e altre ancora navigano in un cyberspazio vibrante.”       

Il risultato ottenuto, nonostante il contesto, raffigurava gruppi di donne tutte con i seni scoperti.

 Anche quando le AI tentano di distanziarsi dalla rappresentazione esplicita, finiscono spesso per riprodurre dinamiche di sessualizzazione implicita, rivelando i limiti e le contraddizioni di queste tecnologie.

MADRI DIGITALI

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